Parliamo di…

Dott.ssa Erika Rossi
20 novembre 2018
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Buongiorno! 🙂

Spesso i pazienti mi chiedono un parere su quanto visto in televisione o letto sul web o su riviste o sentito dire da conoscenti. Queste domande mi forniscono lo spunto per parlare oggi di… fake news, cioè, di notizie fasulle nel settore dell’alimentazione e della nutrizione.

Questo articolo ha tre obiettivi:

  1. Fornire un aiuto per individuare una fake news.
  2. Mettere in luce che prendere per vera una notizia falsa ha un costo.
  3. Indicare alcuni siti internet in cui trovare notizie basate su evidenze scientifiche.

In una position (opinione) del 2006* l’associazione che riunisce i dietisti degli Stati Uniti ha dichiarato che la cattiva informazione sul cibo e sulla nutrizione può avere conseguenza dannose sulla salute, sul benessere e sulle spese dei consumatori.

Come primo passo, chiariamo le differenze tra un’informazione corretta e una falsa informazione.

➡ Quali caratteristiche deve avere una informazione corretta sull’alimentazione?

Deve essere il risultato di un significativo accordo scientifico derivante da studi che abbiano superato la peer review (letteralmente, recensione da parte dei pari grado, una valutazione critica da parte di altri specialisti anonimi) e che siano replicabili.

Quindi, se voglio perdere peso, posso chiedere informazioni all’estetista che darà un’opinione in base alle sue conoscenze, ma poi lo chiederò anche a un dietista che ha la competenza per fornire informazioni corrette su alimentazione e nutrizione.

Ugualmente, se voglio aumentare la massa magra, potrò chiedere informazioni al personal trainer, che sicuramente ha un’esperienza personale, poi mi rivolgerò al professionista della salute di riferimento per alimentazione e nutrizione, cioè al dietista.

Un’opinione personale sull’alimentazione non rappresenta un significativo accordo scientifico.

➡ La disinformazione, invece, consiste di erronee, incomplete, ingannevoli comunicazioni prive di una base scientifica.

Per esempio, irragionevoli ed esagerate convinzioni che mangiare o non mangiare determinati cibi o nutrienti possa curare una malattia, apportare benefici speciali alla salute o far perdere rapidamente peso.

Oppure pubblicità ingannevoli che possono esagerare le qualità benefiche di un alimento e le vere e proprie frodi alimentari. Su entrambe le problematiche c’è vigilanza da parte dello Stato e dell’Unione Europea.

Cosa dovrebbe farci pensare che ci troviamo di fronte a una fake news? 💡

  1. Un consiglio che prometta una soluzione rapida.
  2. Catastrofici avvertimenti di danni che possano derivare dal consumo di un singolo alimento.
  3. Tutto ciò che sembri troppo bello per essere vero.
  4. Conclusioni semplicistiche derivate da uno studio complesso.
  5. Raccomandazioni basate su un solo studio.
  6. Affermazioni “teatrali” rifiutate da rispettabili organizzazioni scientifiche.
  7. Liste di cibi “buoni” e cibi “cattivi”.
  8. Consigli confezionati per vendere uno specifico prodotto.
  9. Raccomandazioni basate su studi pubblicati senza valutazione critica da parte di specialisti nazionali e internazionali anonimi.
  10. Raccomandazioni derivate da studi che ignorino le differenze individuali o dei gruppi di popolazione.

➡ Quali sono i costi della disinformazione in ambito alimentare?

Nel breve periodo, si può avere un danno sia perché si può rimandare la ricerca di un professionista della salute e l’applicazione di pratiche affidabili sia per il consumo di alimenti o prodotti che interagiscano con farmaci che si stanno assumendo. Il danno economico lo si ha sia perché i prodotti acquistati non realizzano quello che avevano promesso, sia perché sono stati acquistati senza che ce ne fosse necessità.

Nel lungo periodo, il paziente può perdere fiducia nelle sue capacità di condurre un sano stile di vita e anche perdere fiducia nei risultati di nuove ricerche scientifiche correttamente condotte.

❓ Dove possiamo trovare informazioni corrette, cioè basate sull’evidenza di dati acquisiti (evidence-based), in merito all’alimentazione?

Propongo un mini-elenco, assolutamente non esaustivo, ed includo solo siti internet con materiale divulgativo, cioè che proponga spiegazioni attraverso esposizioni chiare, senza tecnicismi, e insieme sufficientemente sistematiche, insomma, con materiale anche per i non addetti ai lavori.

Per chi legge anche la lingua inglese, suggerisco:

  1. http://www.who.int/topics/diet/en/#

Il sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, un riferimento non solo per l’alimentazione.

  1. https://www.eatright.org/

Sito curato da The Academy of Nutrition and Dietetics, l’organizzazione dei dietisti degli Stati Uniti.

  1. https://www.cdc.gov/healthyweight/

Il Center for Desease Control and Prevention, organismo del Dipartimento della Salute statunitense, che si occupa non solo di alimentazione.

In italiano:

  1. https://www.efsa.europa.eu/it

Il sito dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, dove si trova anche materiale molto tecnico.

  1. salute.gov.it/portale/salute/p1_4.jsp?lingua=italiano&area=Vivi_sano

Il sito del nostro Ministero della Salute.

  1. http://www.andid.it/area-cittadini

Questo è il sito dell’Associazione Nazionale Dietisti. Adesso siamo in una fase di transizione, poiché, finalmente, è stato istituito l’albo con il decreto del 13 marzo 2018. Comunque, il 7 novembre 2018, il Ministero della Salute ha pubblicato sul proprio portale l’elenco di 293, tra società scientifiche e associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, abilitate a produrre linee guida cui gli operatori sanitari dovranno attenersi nello svolgimento della propria attività. Nell’elenco si trova ASAND (Associazione tecnico Scientifica dell’Alimentazione, Nutrizione e Dietetica dei Dietisti italiani) che proseguirà il lavoro avviato e portato avanti da ANDID: https://www.asand.it/

Buona lettura! 😉

💡 Ricordiamoci che nessuno di noi può sapere tutto, in caso di dubbio sull’alimentazione è saggio chiedere informazioni a uno specialista dell’alimentazione.

 

* Position of the American Dietetic Association: Food and Nutrition Misinformation


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Buongiorno! 🙂

“Vivere per lavorare o lavorare per vivere…” cantava Lo Stato Sociale a Sanremo qualche mese fa. Questo verso mi è tornato in mente ascoltando l’ondata dei nuovi pazienti che la fine delle vacanze, con tutti i buoni propositi che ne conseguono, ha portato con sé.

Oggi vorrei parlare proprio di come il lavoro che svolgiamo influenzi il nostro modo di mangiare.

Non vi ho mai taciuto che un percorso di cambiamento del peso che abbia successo, cioè alla cui conclusione il peso rimanga stabile, richiede impegno e, quindi, sacrificio. Per tutti, di ogni età, sesso e stato lavorativo.

Alcuni lavori, però, sembra che presentino più difficoltà di altri. Come ripeto sempre ai miei pazienti, però, per tutto c’è un rimedio. Almeno in campo dietetico! 😉

 

Propongo due casi con nomi di fantasia. Il primo è Giuseppe che svolge un lavoro itinerante, che lo costringe a mangiare sempre fuori casa, in zone diverse, il secondo è il caso di Maria che sta quasi tutto il giorno a casa per accudire due bambini piccoli.

Giuseppe lamenta di non avere orari fissi per il pranzo e di non sapere mai dove pranzerà, quindi di non poter organizzare il pasto.

Parlando, scopriamo che, in realtà, esiste la possibilità di organizzare l’agenda in modo che il pranzo sia sempre tra le 13 e le 13.30.

Inoltre, anche non potendo o volendo cucinarsi qualcosa a casa, è sempre possibile fare delle scelte salutari anche pranzando fuori, anzi, ci sono sempre più locali che offrono opzioni salutari. Nel caso di Giuseppe, potrà scegliersi un primo e abbinarci delle verdure, valutando bene la ricchezza del condimento del primo piatto e regolando di conseguenza l’olio che utilizzerà sulle verdure, che chiederà di avere scondite. Concluderà con una coppetta di macedonia o un frutto; se il locale non prevede proprio frutta, Giuseppe avrà sempre con sé un frutto “di emergenza”.

Ciliegina sulla torta, Giuseppe riesce a tornare a casa per le 18.30 massimo e la moglie rincasa circa due ore dopo. Due ore per rilassarsi con l’attività fisica preferita dopo la giornata trascorsa tra auto e riunioni!

💡 Quindi, se il lavoro vi costringe ad essere itineranti, non demordete: potrete non organizzarvi ugualmente bene tutti i giorni, ma la perfezione non è di questo mondo e un buon compromesso è possibile!

 

Maria, invece, ha due figli, una bimba di quattro anni e una di due anni. Il marito per lavoro pranza fuori, mentre cena a casa. La difficoltà che espone Maria è quella di essere tentata dalle leccornie che vede tutto il giorno attorno a sé e che, spesso, spilluzzica.

Prima osservazione: avere bambini piccoli non deve essere un alibi per fare scorte di biscotti, gelati, merendine… Anzi, Maria deve diventare consapevole e orgogliosa del suo importante ruolo di educatrice, anche in ambito alimentare. Quindi, la prima strategia è quella di eliminare le tentazioni.

La seconda è quella di stabilire degli orari e dei luoghi in cui fare uno spuntino programmato: ad esempio, alle 10.30, in cucina, a tavola apparecchiata, seduta, mangerò una fetta di pane con un po’ di olio.

E per l’attività fisica? Dopo pranzo il figlio piccolo dorme per circa due ore, mentre la figlia maggiore è ancora all’asilo. Ecco un buon momento per fare esercizi seguendo applicazioni o video, oppure pedalare un po’ su una cyclette leggendo.

💡 Quindi, passate molta della vostra giornata tra le quattro mura domestiche? Nessun problema! Pianificate gli spuntini e fate scorta soltanto di opzioni alimentari salutari!

 

Questi sono solo due esempi, trattati brevemente. Il messaggio che vorrei che rimanesse è che non c’è nessun lavoro che sia un impedimento insormontabile a uno stile di vita che vi faccia stare meglio. Non dubitatene! 😀


Dott.ssa Erika Rossi
20 settembre 2018
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Buongiorno! 🙂

Abbiamo superato la metà di settembre e lo shock da fine vacanze 😉 . Magari, durante l’estate, sotto l’ombrellone o su un prato di montagna abbiamo potuto dedicarci a letture che avevamo messo da parte durante l’anno.

Riapro quindi la stagione degli articoli mensili con un argomento che non ho mai trattato, un interessante argomento da vacanza, secondo me, visto che apre la mente a prospettive nuove.

Quindi, oggi parliamo di alimentazione nella storia e lo facciamo con uno storico che stimo molto, il dottor Piero Gualtieri, Dottore di Ricerca in Storia Medievale, assegnista all’Università degli Studi di Firenze e socio della Incipit SS (http://www.incipitprato.com), società di ricerche archivistiche e genealogiche.

Piero, possiamo sapere cosa mangiassero i nostri avi?

Parlare di alimentazione nel tempo non è una cosa semplice. Ogni cultura, ogni epoca ha sempre gestito in maniera propria queste cose, anche perché hanno un valore sociale fondamentale.

Ovviamente, c’è grande differenza tra come mangiavano i romani, gli uomini del Medioevo o quelli del Diciannovesimo secolo. Senza contare che, se ci spostiamo sul piano geografico, queste differenze aumentano a dismisura.

Credo che molti di noi abbiano l’idea che l’organizzazione temporale: colazione, pranzo, cena, sia sempre stata questa. È così?

La scansione in tre pasti era, tutto sommato, quella prevalente. La differenza sta nell’ampiezza del pasto, cioè nella sua importanza relativa. Per esempio, in ambito Medievale, quello che conosco meglio, la cena aveva un’importanza minore rispetto agli altri pasti, soprattutto rispetto al pranzo, che avveniva a metà giornata.  La cena era consumata poco prima che calasse il sole. In ogni caso, ci sono molte differenze a seconda della classe di appartenenza: tra contadini, ricchi mercanti, monaci o soldati. Oppure tra chi era in viaggio e chi no.

E cosa puoi dirci di come era composto il pasto? Latte e biscotti a colazione? Pasta a pranzo?

C’è una differenza a seconda della classe sociale. Chi aveva maggiori disponibilità mangiava di più e diversamente. Ad esempio, Carlo Magno, imperatore del Sacro Romano Impero tra Ottavo e Nono secolo, mangiava sostanzialmente sempre e solo carne (si ammalò di gotta…). I contadini del suo tempo, invece, mangiavano molta poca carne. Per la maggioranza della popolazione, la dieta era in gran parte composta da cereali, verdure, uova e formaggio. E non scordiamoci del vino, con una gradazione alcolica inferiore rispetto al nostro, era un vero e proprio alimento. A Firenze nel Quattordicesimo secolo ne bevevano in media più di due litri a testa al giorno. In genere i contadini che lavoravano nelle terre padronali ricevevano in cambio il vitto che era sempre composto da pane, formaggio e vino. Per quanto riguarda frutta e verdura, ovviamente erano sempre di stagione, visto che non c’erano possibilità di conservazione e trasporto paragonabili a quelle odierne.

I biscotti a colazione sicuramente non c’erano nel Medio Evo. Nel Medio Evo si dolcificava col miele e non con lo zucchero, basti pensare ai dolci della tradizione italiana che, nella ricetta originaria, hanno il miele: pensate al Panforte senese. il gusto delle pietanze era in generale più agrodolce, però, rispetto al nostro. Rispondere, tuttavia, a cosa mangiassero di specifico a colazione è molto difficile. Ma non mangiavano latte e biscotti.

La pasta non veniva consumata in maniera così frequente, ancora, ma c’era sempre qualcosa ricavato dai cereali, come pane o polenta. Erano frequenti anche le zuppe. Le pietanze potevano essere adagiate su grandi fette di pane che servivano anche da piatto.

Ringrazio Piero per la disponibilità. Questo argomento meriterebbe di essere approfondito in altri articoli. Chissà!

Da dietista vorrei sottolineare tre cose 💡 :

  1. La cena dovrebbe essere ancora il pasto più leggero
  2. Mangiare frutta o verdura non di stagione e non locali ha un costo: monetario immediato per il compratore; ecologico per noi tutti; nutrizionale per l’acquirente, poiché, inevitabilmente, i prodotti avranno una minore qualità nutrizionale
  3. Si può vivere senza mangiare biscotti e simili a colazione 😉

Buona giornata a tutti! 😀


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Buongiorno 🙂 ,

oggi parliamo di microrganismi (ci concentreremo sui batteri) e sicurezza alimentare. È un argomento che, purtroppo, per mancanza di tempo, non capita spesso di affrontare con i pazienti. Più nello specifico, parliamo di come tentare di evitare le malattie batteriche trasmesse dagli alimenti, ricordando che “I rischi microbiologici dei prodotti alimentari costituiscono una delle principali fonti di malattie umane causate dagli alimenti” (Regolamento (CE) n. 2073/2005).

Distinguiamo, prima di tutto, tra infezioni, intossicazioni e tossinfenzioni alimentari:

  • infezione: la contraggo se consumo un alimento che contiene batteri vivi in quantità sufficiente da provocarmi una patologia. Un esempio  sono batteri del genere Salmonella che causano, appunto, la salmonellosi.
  • Intossicazione: in questo caso il batterio ha prodotto delle tossine che io ingerisco con l’alimento e sono le tossine a causarmi la malattia, non importa che l’alimento contenga anche il batterio vivo. Un esempio è la neurotossina, prodotta dal batterio Clostridium Botulinum, che causa il botulismo.
  • Tossinfezione: è una combinazione delle due prime forme. Il microrganismo che causa la patologia deve essere presente in quantità elevate nell’alimento e, dopo essere stato ingerito e aver colonizzato l’intestino, produrre e liberare una tossina, cui è attribuibile la gran parte dei segni e sintomi specifici. Un esempio è il Clostridium perfringens.

Questa introduzione per arrivare a rispondere questa domanda: ci sono delle buone pratiche da adottare per evitare il rischio di incorrere in infezioni, intossicazioni o tossinfezioni alimentari?

Certamente.

  1. Lavarsi le mani. Prima di iniziare a cucinare e durante la preparazione dei cibi, dopo aver toccato alimenti crudi. E anche prima di mangiare!
  2. Lavare i piani di lavoro e gli utensili. Attenzione a non usare lo stesso tagliare per pulire, ad esempio, il pollo e poi per tagliare il finocchio da mangiare crudo.
  3. Tenere pulito e in ordine il frigorifero (non sovraccaricarlo!), e non conservare alimenti crudi a contatto con alimenti cotti o pronti al consumo.
  4. Attenzione alle temperature. Tutti i batteri hanno un intervallo di temperatura in cui vivono e in cui si moltiplicano. Quasi tutti vivono molto bene a temperatura ambiente, soprattutto alle temperature estive. Quindi: vietato conservare a temperatura ambiente gli avanzi di alimenti. Lasciare il pollo arrosto avanzato sul piano della cucina è come creare un villaggio vacanze per i batteri! 😮 Gli avanzi si conservano in frigorifero. Rimarranno fuori solo il tempo necessario per raffreddarsi quel tanto che basta per essere accolti in frigorifero. Si consumeranno, poi, solo dopo averli ben riscaldati, in modo che al centro dell’alimento si raggiungano i 70°C. Suggerirei anche di scegliere con lungimiranza le quantità di cibo da cucinare, così da evitare di avere degli avanzi ed eliminare il problema alla radice. 😉
  5. Se si preparano gli alimenti in anticipo rispetto al momento previsto per la somministrazione, conservarli al caldo, a una temperatura superiore ai 65°C.
  6. Sempre sulla temperatura. Non si scongela a temperatura ambiente! Similmente che per gli avanzi, anche, ad esempio, un pesce lasciato a scongelarsi nell’acquaio è un ottimo parco divertimenti per i batteri. 😮 Non si scongela neppure sotto acqua corrente fredda o calda. Se non si può passare l’alimento direttamente dal congelatore alla pentola, lo si metterà in frigorifero 10/12 ore prima del consumo. Oppure, si userà il forno a microonde.

Non tutti siamo ugualmente suscettibili, a parità di alimento, di batterio e di accorgimenti seguiti, alle malattie trasmesse dagli alimenti. La reazione dipenderà soprattutto dal funzionamento del sistema immunitario, quindi particolare attenzione dovranno prestare i bambini e gli anziani, persone con altre patologie o persone denutrite, e anche le donne in gravidanza.

Conoscere = prevenire! 😎

http://www.who.int/foodsafety/publications/5keysmanual/en/


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Buongiorno! 🙂

Una paziente mi ha raccontato di essersi dedicata alla lettura delle etichette per scegliere lo yogurt da acquistare e di essere stata interrogata dal marito, che l’accompagnava, sul perché si trovasse ancora al reparto frigo dopo vari minuti. La paziente ha risposto: «La dietista mi ha spiegato che devo leggere le etichette, ho bisogno di tempo!».

Sperando di non creare screzi nelle coppie 😉 , mi accingo a proseguire con l’analisi dei valori nutrizionali riportati in etichetta. Lo scorso mese abbiamo imparato a confrontare l’energia e gli acidi grassi saturi degli alimenti che scegliamo (https://www.assaporalasalute.it/mini-guida-alle-etichette-prima-parte/).

Valori medi per: 100 g
Energia … Kj/… Kcal
Grassi

di cui acidi grassi saturi

… g

… g

Carboidrati

di cui zuccheri

… g

… g

Fibre … g
Proteine … g
Sale … g

 

Oggi iniziamo dai carboidrati. I Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia (LARN) ci informano che per gli adulti e gli anziani in salute tra il 45% e il 60% dell’energia totale della dieta dovrebbe provenire dai carboidrati. Quindi, almeno la metà dell’energia totale giornaliera! Eppure spesso si hanno “suggerimenti” proprio in senso opposto 🙄 , ma questo argomento l’ho già affrontato (https://www.assaporalasalute.it/i-carboidrati-questi-sconosciuti/).

Oggi, invece, vorrei soffermarmi sugli zuccheri (carboidrati disponibili presenti in forma monosaccaridica o disaccaridica), per i quali, invece, i LARN propongono un obiettivo nutrizionale per la prevenzione secondo il quale dovrebbero fornire meno del 15% dell’energia giornaliera della dieta. Obiettivo nutrizionale per la prevenzione significa che il valore proposto, se rispettato, determina la riduzione del rischio di malattie cronico-degenerative nella popolazione generale.

Veniamo alla fibra. Argomento interessante ed ampio. La fibra alimentare è rappresentata dai carboidrati non disponibili, cioè quelli che, passando indigeriti per l’intestino tenue, diventano substrati per il microbiota intestinale. L’obiettivo nutrizionale per la prevenzione negli adulti è di consumare almeno 25 g al giorno di fibra alimentare.

Il sale. Poniamo attenzione ai g di sale indicati in etichetta, perché la maggior fonte di sale nella dieta italiana è costituita dal sale aggiunto nei prodotti trasformati, spesso anche in prodotti che non sospetteremmo (prodotti dolci).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce come obiettivo per la popolazione adulta un valore inferiore ai 5 g di sale al giorno. Rimanere al di sotto dei 5 g al dì (circa un cucchiaino) aiuta a ridurre la pressione arteriosa e il rischio di malattie cardiovascolari (http://www.who.int/en/news-room/fact- sheets/detail/salt-reduction).

Quindi, concludendo il nostro viaggio in quella parte dell’etichetta che è costituita dai valori nutrizionali, abbiamo imparato che, confrontando prodotti della stessa categoria merceologica (questo è importante, perché è ovvio che se confronto il burro col miele, il burro avrà molti grassi saturi e il miele molti zuccheri, per fare un esempio “estremo”) porremo attenzione a:

  • acidi grassi saturi
  • zuccheri
  • sale

e preferiremo quei prodotti che ne contengono una quantità minore 💡 , e porremo attenzione alla:

  • fibra

preferendo quei prodotti che ne contengono di più (meglio se naturalmente di più). 💡

 

Visto che con dedizione i maestri e le maestre ci hanno insegnato a leggere in tenera età, sfruttiamo questa nostra competenza e leggiamo!!! Anche le etichette 😎


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Buongiorno! 🙂

Come già per il post sul ferro del 6 dicembre scorso (https://www.assaporalasalute.it/una-salute-di-ferro), devo l’ispirazione per questo post a una serata tra amiche:

Perché se compro due cioccolate fondenti di una marca diversa cambiano i valori nutrizionali? Cosa devo leggere? Quali sono le cose importanti? 🙄

Quindi oggi parliamo di… etichette degli alimenti.

In realtà, parliamo di una parte dell’etichetta, quella con i valori nutrizionali, perché l’etichetta contiene molte informazioni, tutte importanti da leggere e comprendere per poter compiere delle scelte consapevoli, ma non possiamo parlare di tutto in un unico articolo.

Intanto, quindi, una prima risposta alle mie amiche: è importante leggere tutto dell’etichetta, perché tutto è importante quando si parla di qualcosa che mangerò o offrirò ai miei familiari e amici.

Veniamo adesso alle dichiarazioni nutrizionali. Di solito si presentano in una tabella così:

Valori medi per: 100 g
Energia … Kj/… Kcal
Grassi

di cui acidi grassi saturi

… g

… g

Carboidrati

di cui zuccheri

… g

… g

Fibre … g
Proteine … g
Sale … g

 

La prima riga riporta l’energia che assumerò mangiando 100 g di quel prodotto e di solito la riporta con due unità di misura diverse, la più familiare è la Kcal, cioè la chilocaloria, comunemente chiamata caloria (in realtà, come suggerisce il nome, 1 Kcal = 1000 cal).

A cosa dobbiamo fare attenzione? Se l’energia si riferisce a 100 g di alimento, può darsi che noi ne consumeremo più o meno di 100 g, allora, a meno che non sia espresso in una colonna a fianco, dovremo calcolarci da soli quante Kcal andremo a consumare. Ad esempio: un vasetto di yogurt, spesso, contiene 125 g di yogurt. Se la dichiarazione nutrizionale mi informa che 100 g di quello yogurt hanno 110 Kcal, vuol dire che mangiando un vasetto assumerò 110 * 1,25 = 137,5 Kcal. OK?

Mi interessa sapere quanta energia mi fornisce un alimento? Mi sento di rispondere assolutamente sì, indipendentemente dal fatto che sia impegnato in una dieta dimagrante o meno, anche perché, se non ci faccio mai attenzione, può darsi che mi ritrovi ad aver bisogno a breve di una dieta dimagrante! 😉

Soprattutto, credo che sia importante confrontare l’energia fornita da vari alimenti che potremmo scegliere di consumare nella giornata: sapete che in media 100 g di pasta hanno circa 356 Kcal, 100 g di Parmigiano 387 Kcal, 100 g di biscotti frollini 475 Kcal, 100 g di cioccolato fondente 542 Kcal e 100 g di olio extra vergine di oliva 899 Kcal*? Giusto per dare alcuni numeri.

Veniamo ai grassi. I Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia (LARN) ci informano che per gli adulti e gli anziani in salute tra il 20% e il 30% (35% in alcuni casi) dell’energia totale della dieta dovrebbe provenire dai grassi. Quindi meno della metà. Non voglio, però, soffermarmi su questo, ma sull’obiettivo nutrizionale per la prevenzione secondo il quale gli acidi grassi saturi dovrebbero fornire meno del 10% dell’energia giornaliera della dieta.

Questo è un indizio utile per avere un’idea di cosa mi guiderà leggendo le dichiarazioni nutrizionali in etichetta: quando mi trovo a confrontare due prodotti della stessa categoria merceologica (due yogurt o due cioccolate o due biscotti…), sceglierò, a parità degli altri valori, quello con meno acidi grassi saturi. 💡

Di carboidrati, proteine e sale parleremo il prossimo mese.

Buona lettura delle etichette a tutti! 😎

* Dati da http://www.bda-ieo.it


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Buongiorno! 🙂

Il 2018 è iniziato da quasi un mese, ormai, ed io ho quasi ultimato le visite di monitoraggio del peso di pazienti che per l’ultima volta avevo incontrato prima di Natale.

Questo mi fornisce lo spunto per l’argomento di questo articolo: gli ingozzatori. Non che ci si imbatta in questi solo durante le festività, certamente, però, più spesso durante le feste, dato che aumentano le occasioni conviviali.

Gli ingozzatori sono quelli che ti invitano a casa propria con l’unico scopo di alimentarti il più possibile. Scrutano con attenzione il tuo piatto e, quando sta per svuotarsi – non aspettano neppure che sia vuoto – lesti, lo riempiono. A un timido cenno di protesta, possono rispondere in più modi, ma in generale, le opzioni più frequenti rientrano in due categorie:

  • Non ti piace?!?
  • Non sarai mica a dieta?!?

In un caso si insinua il senso di colpa, nell’altro quello di vergogna.

E non è detto che questi ingozzatori agiscano soltanto a casa, possono trovarsi anche a cene organizzate in locali, o a buffet di festeggiamenti.

Come difendersi senza risultare scortesi?

In un libro interessante ed utile per molti aspetti* ho trovato un paragrafo dedicato proprio alle strategie per dire no a questi ingozzatori.

Una tattica potrebbe essere quella di prendere una minuscola porzione iniziale, lodare ogni (piccolo) boccone che mangiamo e poi chiederne con entusiasmo un’altra. A questo punto, dovremmo poter tranquillamente declinare il tris, visto che abbiamo richiesto il bis!

Tuttavia, se il pranzo prevede dieci portate, può essere necessario semplicemente dire no:

  1. Sembra davvero delizioso. Se solo avessi ancora del posto!
  2. Non riesco davvero a mangiare un boccone in più.
  3. Se ne mangio un altro morso, esplodo. Mi piacerebbe, però, poterne portare un po’ a casa!
  4. Mamma, so che vorresti che io ne mangiassi di più, ma sono pieno. Visto che il cibo è il tuo modo per esprimermi affetto, perché, invece di riempirmi il piatto, non mi dai un abbraccio?

Vi assicuro, per esperienza personale, che la numero tre riscuote molto successo, gratifica molto la cuoca o il cuoco e, inoltre, vi fa risparmiare il giorno dopo il tempo ai fornelli. Ma non esagerate con la quantità che vi portate a casa! 😉

Vorrei aggiungere altre due possibili strategie per declinare.

La prima è di una mia paziente che, quando le amiche insinuano che lei mangi troppo poco perché a dieta, risponde:

  1. Non sono a dieta, semplicemente non voglio ingrassare!

L’altra l’ho vista in atto ad un rinfresco serale dopo una riunione. Alcune donne avevano cucinato dolci molto appetitosi e li offrivano con entusiasmo, riuscendo a vincere varie proteste.

Una signora anziana, sorridendo e guardando negli occhi l’ingozzatrice, disse semplicemente:

  1. Grazie, ma non ho fame.

Che semplicità!

Ricordiamolo: quando siamo in salute, si mangia, quando si ha fame (biologica). Non per noia, gola, nervosismo, accondiscendenza…

Si mangia, se, e solo se, si ha fame!

 

Buon 2018 in forma! 😎

 

*Breitman, P., Hatch, C. How to say no without feeling guilty. 2000


Dott.ssa Erika Rossi
20 dicembre 2017
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Buongiorno! ?
Oggi parliamo di… coraggio.

Sentiamo una voce autorevole dei primi anni del 1800: “… ci vuole coraggio sia a prevenire l’obesità, sia a guarirne.” *

E leggiamo il vocabolario on line della Treccani alla voce coraggio: “Forza d’animo nel sopportare con serenità e rassegnazione dolori fisici o morali, nell’affrontare con decisione un pericolo, nel dire o fare cosa che importi rischio o sacrificio (…)”.

Non si può negare che intraprendere un percorso di dimagrimento richieda sacrificio. Sono necessari dei cambiamenti nell’alimentazione e nello stile di vita in generale che, almeno all’inizio, richiedono un grande impegno.

Allora qui vorrei lodare il coraggio di tanti miei pazienti, facendo solo alcuni esempi.

Il coraggio di chi:

  • tutte le mattine ha deciso di alzarsi mezz’ora prima per fare esercizio;
  • tutti i giorni cucina innumerevoli piatti diversi, perché non è riuscito a convincere la famiglia a seguirlo nel suo cambiamento o perché i vari membri della famiglia mangiano ad orari diversi;
  • nonostante sia finita una relazione, e si trovi quindi in un periodo emotivamente difficile, è deciso comunque ad impegnarsi per uno stile di vita più sano;
  • è riuscito a dire basta alla mamma che continuava ad offrire cibo in quantità da sfamare un esercito;
  • ha inserito due sere dopo cena una camminata sul tappeto meccanico perché proprio di più al momento non può fare;
  • non si è smarrito durante un buffet, ma è riuscito ad avere consapevolezza delle sue scelte;
  • ha comprato il contapassi e registra fedelmente i progressi;
  • ha imparato a leggere le etichette e a scegliere di conseguenza;
  • vuole migliorare il suo stile alimentare per aiutare i figli a non avere problemi col peso;
  • ogni giorno cucina un piatto diverso, sano e bello, senza cedere mai alla routine;
  • resiste allo spuntino dopo cena sul divano;
  • ha scoperto che andare in bicicletta gli piace e fa bene, anche all’ambiente;
  • si sforza di cucinare ogni giorno, anche se vive da solo;
  • sgarra (ai pazienti piace molto questo termine), ma poi recupera, più determinato di prima;
  • ha iniziato a camminare e ha scoperto che può fare a meno dell’auto quasi sempre;
  • di fronte a un inaspettato problema di salute di un genitore, ha comunque deciso di trovare il tempo e la forza per portare avanti il cambiamento del proprio stile di vita, perché ha acquisito la consapevolezza che solo stando bene potrà aiutare gli altri;
  • trova sempre il modo di fare attività fisica: si è rotto il tapis roulant? Sale le scale 50 volte al giorno! Fa troppo freddo per camminare fuori? Corre in casa!
  • alle cene organizzate in cui ognuno porta qualcosa, è andato controcorrente e ha portato verdura e frutta per tutti.

Davvero, complimenti a tutti voi! E auguri di cuore un Natale ricco di soddisfazione:

buon Natale, pazienti coraggiosi! 😀

 

*Brillat-Savarin J.A., Fisiologia del gusto o meditazioni di gastronomia trascendente, Slow Food Editore, 2008.


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Buongiorno! 🙂

Oggi parliamo di ferro.

Quando si è dietiste trovare attimi in cui scordarsi che lo si è può essere difficile. Le principali occasioni di socialità ruotano intorno al cibo che sia il pranzo dai parenti, il rinfresco per una festa, la pizza con le amiche. In tutti questi contesti non mancherà qualcuno a chiedere un parere: non mangi il pane perché hai preso le patate? Perché hai ordinato quella pizza? È meglio? 🙄

A una delle ultime cene con le mie amiche, due di loro se ne escono con queste affermazioni:

– Il medico mi ha detto che ho poco ferro, quindi ho smesso di essere vegetariana e ho iniziato a mangiare il pollo.

– A me ha detto che ho troppo ferro, quindi non mangio più i legumi. 😯

Vediamo di fare un minimo, per non dilungarsi troppo, di chiarezza.

A cosa ci serve il ferro? È un componente essenziale di molte nostre proteine, necessario per il funzionamento di molti enzimi e forse il ruolo per cui è più famoso è come componente dell’emoglobina che lo rende indispensabile per il trasporto dell’ossigeno dai polmoni ai tessuti.

In quali alimenti troviamo il ferro? Qui dobbiamo distinguere tra due tipi di alimenti: quelli vegetali, che contengono soltanto ferro non eme, e quelli animali che contengono anche ferro eme. Le due forme di ferro sono assorbite diversamente dal nostro organismo: il ferro eme è assorbito tra il 15% e il 35%, quello non eme tra il 2% e l’8%.

Vediamo solo alcuni valori:

Alimento Fe (mg/100 g)
Milza di bovino 42
Fegato di suino 18
Corvina 14,4
Cacao amaro in polvere 14,3
Crusca di frumento 12,9
Fagioli 9-8,8
Fegato di bovino 8,8
Lenticchie 8
Rene di bovino 8
Radicchio verde 7,8
Pistacchi 7,3
Polmone di bovino 6,7
Ceci 6,4
Anacardi 6
Rana 6
Cozza 5,8
Lupini 5,5
Rucola 5,2
Cavallo 3,9
Spinaci 2,9
Bovino adulto 1,9-1,8
Pollo 0,6

Fonte: http://nut.entecra.it/646/tabelle_di_composizione_degli_alimenti.html

Alcune osservazioni:

  • le frattaglie sono gli alimenti a più alto contenuto di ferro eme;
  • il pollo tra le carni se la cava maluccio, la mia amica dovrebbe cambiare obiettivo;
  • i legumi sono tra gli alimenti a più alto contenuto di ferro; è tuttavia ferro non eme, quindi meno assorbibile. L’altra mia amica dovrebbe quindi eliminare altro dalla dieta.
  • La storia di Braccio di Ferro ci aveva un po’ ingannati: gli spinaci non sono tra i vegetali che contengono più ferro 😥

Possiamo migliorare o peggiorare l’assorbimento del ferro dagli alimenti che noi mangiamo? Possiamo migliorarla abbinandoli ad acidi organici come acido ascorbico e acido citrico, cioè strizzando del succo di limone o di altri agrumi sugli alimenti, per esempio. Peggiorarla abbinandoli a fitati e fibre (crusca, legumi, cereali integrali), calcio e fosforo (latticini), acido tannico (tè e cioccolato), polifenoli (tè, caffè ecc.).

Di quanto ferro abbiamo bisogno? Dipende, ovviamente. Almeno dall’età e dal sesso. I LARN stabiliscono come assunzione raccomandata per la popolazione adulta (dai 18 anni) 10 mg al dì, 18 mg al dì per le donne in età fertile.

Termino questo breve excursus sul ferro augurando a tutti noi una salute… di ferro! 😎

 

Bibliografia: SINU, Società Italiana di Nutrizione Umana. LARN – Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana. IV revisione. Milano, 2014.


Dott.ssa Erika Rossi
22 novembre 2017
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Buongiorno! ?

Oggi parliamo di H2O, cioè di acqua.

Per la mia esperienza con i pazienti nella top ten delle abitudini più difficili da cambiare si classifica l’aumentare l’assunzione di acqua giornaliera. In generale c’è molta resistenza a controllare quanta acqua si assume, perché non si pensa all’acqua come a qualcosa di importante, e scarsa disponibilità ad incrementare l’acqua bevuta, di nuovo perché non la si considera importante o perché l’aumento della diuresi può creare disagio.

Ebbene, per chi non lo sapesse, l’acqua non è da sottovalutare, tutt’altro!

Prima di tutto perché l’acqua è il principale componente dell’organismo, rappresenta circa il 55% del peso corporeo della donna, circa il 60% di quello dell’uomo e fino al 75% del peso corporeo di un neonato.

E cosa ce ne facciamo di tutta quest’acqua? Penseranno alcuni. Nell’organismo umano l’acqua è:

  • indispensabile per la maggior parte delle reazioni metaboliche
  • essenziale per la regolazione della temperatura corporea
  • necessaria per l’eliminazione (principalmente attraverso le urine) di numerosi metaboliti e tossine
  • imprescindibile per la digestione, l’assorbimento e l’utilizzazione dei nutrienti
  • irrinunciabile per proteggere e lubrificare le articolazioni e gli organi e per mantenere elastiche e compatte cute e mucose.

A volte, tuttavia, conoscere i benefici non è sufficiente. Vediamo allora: cosa succede se ci ostiniamo a bere in quantità non sufficiente a coprire le perdite?

Ci disidratiamo e già perdendo acqua pari all’1-2% del peso corporeo la termoregolazione e il volume plasmatico, e quindi le nostre capacità fisiche, ne risentono.

Una perdita di acqua pari a circa il 3-9% del peso corporeo diminuisce la capacità di concentrarsi, causa stordimento, cefalea, parlare confuso, irritabilità, insonnia, aumento della temperatura corporea e della frequenza respiratoria.

Supponiamo di pesare 70 Kg, il 3% del peso corrisponde a 2,1 litri di acqua. Vi sembra difficile perdere 2 litri di liquidi? Considerate che il volume medio delle urine negli adulti è in genere di 1-2 litri, a cui sommare i liquidi persi con le feci, con la sudorazione, con la respirazione.

Insomma essere disidratati è facile. Ancora più facile all’aumentare dell’età quando la sete diminuisce.

Quindi quanto dobbiamo bere? Il fabbisogno minimo di acqua per un individuo si definisce come la quantità d’acqua che garantisce l’equilibrio con le perdite, previene gli effetti negativi della disidratazione (in termini di alterazioni metaboliche e funzionali) e allo stesso tempo garantisce l’eliminazione del carico renale dei soluti. I LARN indicano come assunzione adeguata per l’uomo 2,5 litri al giorno e per la donna 2 litri (con incrementi in gravidanza e allattamento).

Come possiamo ricordarci di bere? Mettendo in bella vista l’acqua e il bicchiere o utilizzando una borraccia o una bottiglia propria e contando quante volte la riempiamo. 2 litri di acqua equivalgono a 4 bottigliette da mezzo litro: posso utilizzare lo smartphone affinché mi ricordi ogni ora di bere mezza bottiglietta e il gioco è fatto!

Non aspettiamo di avere sete per bere!

 

 

Bibliografia: SINU, Società Italiana di Nutrizione Umana. LARN – Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana. IV revisione. Milano, 2014.


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